C’è a chi piace sottile, chi la vuole croccante. Chi ama che debordi dal piatto, bollente e filante. Chi non transige sul cornicione, chi la piega a libretto, e guai a usare coltello e forchetta. Chi impazzisce per la Marinara, mater originaria, e chi non prescinde da funghi e prosciutto.
Per un tempo lunghissimo, la pizza è stata solo il più facile degli spezza-fame: pasta di pane, pomodoro e poco altro, qualche morso avido camminando e stando attenti a non macchiarsi. La madre di tutte le declinazioni gourmand risale a fine ’800, quando il basilico trasformò la pizza in bandiera tricolore per omaggiare la regina Margherita. Da quel momento in poi, sopra la pizza è finito di tutto, con le farciture utilizzate
sempre più frequentemente per mascherare la qualità mediocre degli ingredienti. Un’involuzione figlia della crisi economica, che ha fatto delle pizzerie luoghi della socialità sempre più popolari e praticati, in alternativa ai ristoranti di piccolo cabotaggio. Si mangia per stare insieme spendendo poco, e pazienza se la pizza si ricomporrà nello stomaco come se avessimo ingoiato un frisbee e ci addormenteremo abbracciati a una damigiana d’acqua.
Ma un’altra pizza è possibile, come ben testimonia il manipolo di pizzaioli illuminati che sta cambiando l’identità del cibo secondo solo alla pasta nella classifica dei consumi alimentari del mondo occidentale.
Tutto è cominciato con lieviti e farine, frontiere obbligate di un’alimentazione sempre meno sana. L’esplosione di intolleranze e allergie ha costretto gli artigiani più sensibili a interrogarsi sulla salubrità della chimica negli impasti, dagli acceleratori ai miglioratori, passando per conservanti e sbiancanti.
Chi ha deciso di cambiare, oggi sceglie farine diverse – avena, farro, segale… – o di grani antichi, macinate a pietra, da coltivazioni biologiche e biodinamiche. Il lievito di birra viene dosato col bilancino del farmacista – 5 grammi per quasi 20 kg di farina! – da solo o insieme al lievito madre, a sua volta nutrito e coccolato come una creatura. L’olio è rigorosamente extravergine, il sale è marino, la mozzarella arriva da allevamenti virtuosi (niente trinciati di mais), i pomodori dall’aridocoltura, la pratica “senz’acqua” che obbliga la pianta a cercare in profondità, arricchendosi di minerali.
Ma i nuovi pizza-star si spingono oltre, rivaleggiando con gli chef nella selezione delle migliori gourmandise in circolazione e negli accostamenti creativi, che trasformano le pizze in piatti d’autore a piccoli prezzi. Una rivoluzione che si traduce in veri percorsi di degustazione: le pizze vengono servite tagliate a spicchi per l’intero tavolo, offerte in successione dalle più semplici e delicate a quelle degne di una tavola stellata. Per accompagnarle, niente bibite – orrore! – ma un ventaglio di birre rigorosamente artigianali prodotte nelle centinaia di microbirrifici sparsi in tutta Italia, raccontate e consigliate con perizia da sommelier, mentre l’opzione vino si gioca alla pari tra rosè e bianchi sfiziosi.
Se le pizze gourmand vi attraggono, regalatevi una gita nei nuovi santuari del forno a legna. L’unico rischio che correrete sarà provare quasi appetito ben prima di andare a dormire.